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venerdì 26 aprile 2013

Le avventure del cacciatore di baci

Ignacio Lehmann ha raccolto 700 foto di baci tra America ed Europa; scene di strada con messaggi di pace, che ritraggono l’amore, le città e le culture.
BUENOS AIRES, ARGENTINA #70 KISS
I quasi 700 baci che Ignacio Lehmann ha catturato a New York, Londra, Parigi, Berlino, Barcellona, Buenos Aires e adesso nel Distretto Federale del Messico, sono baci di strada di un fotografo di strada. Questo mago dell’obiettivo di 29 anni cammina fino a 14 ore al giorno in cerca di baci. Possono essere baci rubati ai primi raggi di sole o “ardenti” in pieno giorno, baci sorpresi negli autobus, nei parchi, nelle piazze, nelle strade o catturati con monumenti emblematici sullo sfondo.
Nel suo grande e variegato album fotografico, che ha intitolato “100 World Kisses” e che è un work in progress su Facebook, Ignacio Lehmann ha racchiuso baci pieni di tenerezza e amore fraterno da genitori a figli, da nonni a nipoti, baci tra amici, amanti, fidanzati, gay e lesbiche. Ha perfino dato spazio a gente che bacia il proprio animale o ai baci tra animali, di cani a Coyoacàn, di cavalli a Berlino.

Al fotografo argentino, che ha iniziato questo progetto a New York nel giugno 2012, non importa attenersi ad uno stereotipo; vive con la certezza che “tutti entriamo nell'universo del bacio e non voglio circoscriverlo allo stereotipo classico, tra ragazzo-ragazza o solo in coppia”.
In meno di un anno Lehmann ha viaggiato per sette città per raccontarle attraverso una serie di 100 baci che ha pubblicato senza filtri su facebook.com/100WorldKisses: l’unico desiderio è quello di presentare la lista in ordine decrescente, dalla numero 100 alla 0, concludere l’album con la 0 e intraprendere il viaggio verso un’altra città, per raccontarla con immagini e baci.

“Non sono foto esteticamente perfette, perché altrimenti sarebbero da rivista o da inchiesta; sono foto di strada”.
México City, México, #75 Kiss
Per scattare le 100 foto, Ignacio Lehmann, deve realizzare una vera opera di convincimento: con la macchina fotografica al collo si avvicina all'affettuosa coppia che lo ha sedotto; dunque gli spiega il suo progetto, gli infonde sicurezza e, una volta convinta e fotografata, estrae il suo marchio da applicare sui loro polsi, come prova della partecipazione ai “100 World Kisses”.
“Il fatto di scattarne 100 è una sfida, è un processo arduo e lungo nel quale a volte le cose riescono e a volte no; l’idea è anche quella di mostrare la città, raccontarla attraverso i baci, non è realizzare una guida turistica che informi di quanto costi un piatto di enchiladas o dove è meglio alloggiare. Per me il soggetto più importante è la gente, più dei monumenti e dei palazzi, è la gente ad essere in primo piano attraverso l’immagine di un bacio”, racconta il fotografo argentino a El Universal.

Teotihuacán, México  #59 Kiss

Un legame con un messaggio
Nell'arte il bacio è stato raffigurato molte volte: emblematica la fotografia “Il bacio di Times Square”, di Alfred Eisenstaedt, nella quale un’infermiera viene baciata appassionatamente da un marinaio alla fine della seconda guerra mondiale; così come “Il bacio” di Gustav Klimt o la scultura “Il bacio” di Auguste Rodin.


Lehmann li conosce bene: prima di andare a New York “per tentare la fortuna” lavorava in un museo d’arte di Buenos Aires. Un giorno, insieme alla sua fidanzata, Ignacio arrivò a Times Square e senza pensarci diede inizio al progetto che oggi, a meno di un anno, si compone di quasi  700 foto. “Penso davvero molto ai baci, ne vedo molti e li cerco, mi sembra che il bacio sia fantastico, è bellissimo baciare e vedere persone baciarsi, significa che tra queste persone esiste qualcosa, un legame”. Lui questi legami li registra, per questo motivo s’impegna affinché il gesto sia vero. “Il bacio è un atto pacifico di unione, un gesto simbolo di armonia, amore e pace, è un grande messaggio”. 

Berlin, Germany  #12 Kiss
Lehmann  ha imparato a viaggiare da solo, a conoscere di più se stesso, ma ha anche imparato a perfezionare “questo radar che ho attivato tempo fa, quando ho cominciato a cercare baci. Adesso mi risulta difficile spegnerlo, passo tutto il tempo alla ricerca portando sempre con me la macchina fotografica. A volte cerco di smetterla ma non posso.”
Assicura di non essere ossessionato dagli spazi come lo è dai baci; anche se spesso combina l’effusione amorosa con i luoghi emblematici di ogni città, così da avere baci a Parigi sotto la Torre Eiffel, a Londra sotto il Big Ben, a Berlino davanti la Porta di Brandeburgo, a New York ai piedi di Time Square e in Messico nello Zócalo, davanti al  Monumento della Rivoluzione, nella Torre Latinoamericana o davanti le Piramidi di Teotihuacàn.

San Cristobál de las Casas, Chiapas, México  #21 Kiss

“Ma ci sono anche foto notturne, diurne, in cui non c’è nessuno o foto di una madre che bacia suo figlio in un autobus. Ti rendi conto che si tratta del Messico dai lineamenti delle persone”, dice l’intervistato la cui pagina Facebook ha circa 30 mila amici.

Ogni album che Ignacio Lehmann ha creato fino ad oggi ha una sua determinata personalità data dagli amanti e dalle città. Delle sette città che il fotografo argentino ha visitato per il suo progetto, Città del Messico è quella in cui ha raccolto più baci per per le strade.  “Si baciano un sacco, si baciano gli alunni delle scuole, gli anziani; si stringono per la strada, nel parco, sdraiati come fossero a letto. E’ impressionante, non ho visto niente di simile in nessun’altra città, perciò il Distretto Federale è ottimo per il mio progetto anche se, al tempo stesso, i messicani provano vergogna, hanno paura, si imbarazzano e temono la macchina fotografica. – spiega - Per esempio qui non è permesso scattare foto in Metro o sui mezzi di trasporto, la polizia ti chiede ‘per quale motivo stai scattando foto?’ o ti chiedono di cancellare una foto se non ha una ‘funzione’”.

 México City, México  #47 Kiss   
Un caso a parte sono i parigini, con i quali è difficile avere a che fare, racconta Lehmann: sono molto particolari, con loro non soltanto la lingua è stata una barriera, dal momento che non gradiscono gli si parli in inglese, ma è stato difficile anche spingerli a baciarsi per la strada. “Nonostante ciò, i paesaggi sono straordinari, le foto di Parigi sono venute ‘super parigine’. Un altro esempio è Londra, dove sono più distanti, più freddi; a New York, invece, amano l’obiettivo. Ogni città ha i suoi segreti, il punto è scoprirli e comporre l’album”.   

Così, trascorre la sua vita a caccia di baci e amanti, realizzando un album che è d’ispirazione, come una candela accesa che può accendere altre candele in un momento in cui il mondo intero vive momenti difficili e di grande caos. 



Traduzione: Marcella Bucaria
Autore: Yanet Aguilar Sosa
Apparso su: El Universal
Lingua: Spagnolo
Testo originale: http://www.eluniversal.com.mx/notas/912234.html
Foto: http://www.dimelaneta.com/100-besos-alrededor-del-mundo/

domenica 21 aprile 2013

A mentire si può imparare

In uno studio recente alcuni ricercatori dell’università di Northwestern (USA)  hanno dimostrato che si può imparare a dire una bugia tanto da farla sembrare identica alla verità.

Generalmente, le persone impiegano più tempo e commettono più errori dicendo una bugia piuttosto che la verità. Questo accade, sostanzialmente, perché nella loro testa stanno gestendo due risposte che si contraddicono tra loro cercando di sopprimere la più onesta. Tuttavia, con il giusto esercizio, le notevoli differenze possono scomparire. Xiaoqing Hu e i suoi colleghi hanno sperimentato un sistema di “allenamento dei bugiardi” nel quale una serie di soggetti imparavano ad aumentare la velocità di risposta quando il contenuto delle loro parole era incerto.



Dopo aver inventato e ripetuto più volte la bugia nella loro mente, i ricercatori hanno dimostrato che, da un certo punto in poi, i soggetti non commettevano più errori nel raccontare la menzogna e rispondevano alla stessa velocità di quando dicevano la verità.

La nuova scoperta dovrebbe essere tenuta in considerazione dalla polizia quando viene commesso un delitto: “Nella vita reale, generalmente, tra il momento del crimine e quello dell’interrogatorio dei sospettati trascorre del tempo, intervallo sufficiente per prepararsi e allenarsi con le bugie”, avverte Hu.



Traduzione di Marcella Bucaria.

Autore: Elena Sanz
Fonte: Muy Interesante
Lingua: Spagnolo

venerdì 19 aprile 2013

1913: Quando Hitler, Trotsky, Tito, Freud e Stalin vivevano tutti nello stesso posto




Un secolo fa, una parte di Vienna ha accolto Adolf Hitler, Leon Trotsky, Joseph Tito, Sigmund Freud e Joseph Stalin.
Nel gennaio del 1913, un uomo il cui passaporto recava il nome di Stavros Papadopoulos sbarcò dal treno proveniente da Cracovia alla Stazione Nord di Vienna. Di carnagione scura, sfoggiava dei grossi baffi da contadino e portava una valigia di legno molto semplice.
“Sedevo al tavolo,” scrisse, anni dopo, l'uomo che era venuto ad incontrare “quando sentii bussare, la porta si aprì ed entrò uno sconosciuto. Era basso...magro...con la sua pelle butterata bruno-grigiatra...non vidi nulla nei suoi occhi che facesse pensare alla cordialità”.
L'autore di queste righe era un intellettuale russo dissidente, l'editore di un giornale radicale chiamato Pravda (Verità). Il suo nome era Leon Trotsky.
L'uomo descritto, infatti, non era Papadopulos.

Era nato come Iosif Vissarionovich Dzhugashvili, gli amici lo chiamavano Koba, ed ora viene ricordato come Joseph Stalin. Trotsky e Stalin erano solo due dei tanti uomini che abitavano al centro di Vienna nel 1913 e le cui vite erano destinate a modellare, anzi a distruggere, gran parte del XX secolo. Si trattava di un gruppo disomogeneo. I due rivoluzionari, Stalin e Trotsky, erano in fuga. Sigmund Freud aveva già una posizione ben consolidata. Lo psicoanalista, esaltato dai suoi seguaci come l'uomo che aveva svelato i segreti della mente, viveva ed esercitava in città, sulla Berggasse.
Il giovane Josip Broz, che più tardi sarebbe diventato famoso come Tito, leader della Yugoslavia, lavorava nella fabbrica di automobili Daimler a Wiener Neustadt, una cittadina a sud di Vienna, alla ricerca di un impiego, di soldi e di bei momenti.
Poi c'era il ventiquattrenne dell'Austria nord-occidentale il cui sogno di studiare pittura all'Accademia di Belle Arti di Vienna era stato infranto due volte e che adesso alloggiava in un dormitorio a Meldermannstrasse vicino il Danubio, tale Adolf Hitler.


  • Il dittatore sovietico Joseph Stalin trascorse un mese in città, incontrando Trotsky e scrivendo Il marxismo e la questione nazionale, con Nikolay Bukharin.
  • Il neurologo Sigmund Freud si trasferì a Vienna da bambino nel 1860 e abbandonò la città dopo che i nazisti ebbero annesso l'Austria.
  • Si crede che il leader nazista Adolf Hitler abbia vissuto lì tra il 1908 e il 1913 dove faticava per guadagnarsi da vivere come pittore.
  • Josip Broz, in seguito leader della Yugoslavia Tito, era un metalmeccanico prima di venire reclutato nell'esercito Austro-Ungarico.
  • Il rivoluzionario russo Leon Trotsky visse a Vienna all'incirca dal 1907 al 1914, lanciando il giornale PravdaLa Verità.

Nella sua maestosa rievocazione della città del tempo, Thunder at Twilight, Frederic Morton immagina Hitler che arringa i suoi coinquilini “sulla moralità, sulla purità razziale, la missione tedesca e il tradimento slavo, sugli ebrei, sui gesuiti e sui massoni”.
“Il suo ciuffo sballotterebbe, le sue mani macchiate di vernice taglierebbero l'aria, la sua voce si alzerebbe fino a diventare lirica. Poi, d'improvviso come aveva cominciato, si fermerebbe. Raccoglierebbe le sue cose con un fracasso imperioso e andrebbe a passi lunghi verso la sua stanza”.
A presiedere su tutti, nell'Hofburg Palace dalla struttura irregolare, c'era l'anziano Imperatore Francesco Giuseppe, che aveva regnato dal famigerato anno delle rivoluzioni, il 1848.








L'arciduca Francesco Ferdinando, il suo successore designato, risiedeva nel vicino Palazzo Belvedere, aspettando il trono con entusiasmo. Il suo assassinio l'anno seguente avrebbe fatto scoppiare la I Guerra Mondiale.
Vienna nel 1913 era la capitale dell'Impero Austro-Ungarico, composto da 15 nazioni e con più di 50 milioni di abitanti. “Non essendo propriamente un melting pot, Vienna era un tipo di “minestra culturale” che attraeva personaggi ambiziosi da tutto l'impero” dice Dardis McNamee, caporedattrice del Vienna Review - l'unico mensile austriaco in lingua inglese - che ha abitato nella città per 17 anni. “Meno della metà dei due milioni di abitanti sono nativi della città e circa un quarto viene dalla Boemia (ora parte occidentale della Repubblica Ceca) e dalla Moravia (la parte orientale della Repubblica Ceca), di conseguenza in Germania si parlava ceco in molti contesti”.

I sudditi dell'impero parlavano una dozzina di lingue, spiega.
“Gli ufficiali dell'esercito Austro-Ungarico dovevano essere in grado di dare i comandi in 11 lingue oltre al tedesco, ognuna delle quali aveva una traduzione ufficiale dell'inno nazionale”. E questo singolare melange creò un fenomeno culturale tutto suo: le coffee-house viennesi. Secondo la leggenda, le sue origini sono da cercarsi nei sacchi di caffè lasciati dall'esercito ottomano in seguito al fallito assedio turco del 1683. “La cultura del caffè e l'idea di dibattito e discussione nei caffè è parte integrante dello stile di vita viennese ora come allora”, spiega Charles Emmerson, autore di 1913: In Search of the World Before the Great War e ricercatore senior presso il gruppo di esperti di politica estera della Chatham House. “La comunità intellettuale viennese era in realtà piuttosto piccola, si conoscevano tutti e...questo favorì gli scambi attraverso le frontiere culturali”. Tutto ciò, aggiunge, avrebbe favorito i dissidenti politici e coloro che erano in fuga.

“Non c'era uno stato centrale straordinariamente potente. Era forse un po' sciatto. Se volevi trovare in Europa un posto per nasconderti in cui potevi incontrare tante altre persone interessanti, allora Vienna poteva essere un buon posto per farlo”.

Vienna - Cafe Central
Il ritrovo preferito da Freud, il Cafe Landtmann, si trova ancora sull'Anello: il celebre viale che circonda lo storico Innere Stadt1. Trotsky e Hitler frequentavano il Cafe Central, a qualche minuto di camminata da lì, dove i clienti erano appassionati di torte, quotidiani, scacchi e soprattutto di discussione. “Uno dei motivi per i quali i caffè diventarono così importanti era che 'tutti' ci andavano”, dice MacNamee. “Quindi c'era uno scambio e una proficua condivisione di discipline e interessi, infatti, i confini che poi diventarono così rigidi nel pensiero occidentale erano molto flessibili”. Oltre questo, aggiunge, “l'ondata di energia dell'intellighenzia ebraica, e la nuova classe industriale, resero possibile l'ottenimento dei pieni diritti di cittadinanza da Francesco Giuseppe nel 1867 e il libero accesso a scuole e università”. Inoltre, anche se si trattava di una società largamente maschilista, anche alcune donne ebbero un certo impatto.

Alma Mahler il cui marito, che era un compositore, morì nel 1911, era anch'essa una compositrice e diventò la musa e l'amante dell'artista Oskar Kokoschka e dell'architetto Walter Gropius.
Anche se la città era e rimane sinonimo di musica, di balli sontuosi e del valzer, il suo lato oscuro era particolarmente desolante. Gran parte dei cittadini vivevano nei bassifondi e il 1913 vide circa 1500 Viennesi togliersi la vita.

Nessuno sa se Hitler si sia mai imbattuto in Trotsky, o se Tito abbia incontrato Stalin, ma opere come Dr Freud Will See You Now, Mr Hitler [Il Dottor Freud la visiterà subito, Signor Hitler] – un radiodramma del 2007 di Laurence Marks e Maurice Gran – sono vivaci fantasie su tali incontri.
L'incendio che scoppiò l'anno successivo distrusse gran parte della vita intellettuale di Vienna. L'impero implose nel 1918, spingendo Hitler, Stalin, Trotsky e Tito verso carriere che avrebbero segnato per sempre la storia mondiale.


AutoreAndy Walker
Fonte: BBC
Lingua: Inglese

Note

1 Letteralmente “città interna”, corrisponde al centro storico della città.




venerdì 12 aprile 2013

Venezuela: una fiumana di gente saluta la campagna elettorale

I candidati alla presidenza hanno avuto a disposizione 10 giorni per esporre i loro programmi. Henrique Capriles, candidato all'opposizione, chiuderà oggi nello stato di Lara con i suoi 312 camper. Il candidato al governo, Nicolás Maduro farà la sua parte a Caracas in una manifestazione di massa.

Il candidato all'opposizione Henriques Capriles chiuderà la sua campagna con 312 camper provenienti da diverse città del Venezuela che percorreranno simultaneamente 4.500 Km. Il convoglio partirà da San Cristóbal, Valera, Vargas, San Felipe, Valles del Tuy, Guarenas-Guatire, Barlovento tra le altre, facendo rotta su Barquisimeto, nello stato di Lara, dove Capriles concluderà questi 10 giorni di campagna con una manifestazione di massa.

Il candidato presidente Nicolás Maduro chiuderà la sua campagna nella capitale, Caracas. Secondo il commando Hugo Chávez i suoi elettori riempiranno da cima a fondo i viali Urdaneta, Barlat, Fuerzas Armadas, Lecuna, Mexico, Universidad e Bolivar, che sono i più grandi della città. Loro proposito è quello di superare quanto ottenuto da Capriles domenica a Caracas. Quest’ultimo, infatti, è riuscito a radunare la maggiore concentrazione politica non chavista dal 1999. Episodio che si è ripetuto ieri nello Stato di Zulia. Là, Capriles, insieme al cantante Ricardo Montaner, ha tenuto un discorso dinanzi a migliaia di venezuelani chiedendo loro il voto.

Henrique Capriles Radonski

Una sfida per il Commando Simón Bolívar
Carlos Ocariz, leader del Commando Simón Bolívar, responsabile della campagna dell’avversario Henriques Capriles, ritiene che quanto accaduto in questi ultimi 10 giorni in Venezuela sia memorabile.
Secondo il dirigente, la campagna si è focalizzata su temi concreti, come la sicurezza. Il primo Aprile è stato organizzato un corteo per richiedere la fine degli assassinii: in Venezuela vengono uccise 55,2 persone per 100 mila abitanti.

Ora, nel bel mezzo della campagna elettorale, si è sollevata una polemica per il berretto tricolore. L’indumento che Capriles indossa dai comizi di ottobre, da quando ha perso contro il defunto Hugo Chávez, è stato copiato dai sostenitori del candidato alla presidenza Nicolás Maduro. Immediatamente Capriles, consigliato dal Commando Simón Bólivar, ha affermato che il berretto rappresenta l’unità venezuelana e che, dunque, Maduro, cercando di dividere  i cittadini con i suoi discorsi, non può indossarlo.

La musica è stato un altro strumento molto utile, secondo Ocariz. Il rinomato salsero portoricano Willie Colón ha scritto un testo per Maduro intitolato “Mentira Fresca”. Pare che il testo abbia fatto centro nei chavisti dissidenti, come l’ex cancelliere Luis Alfonso Dávila che confermato il suo voto per Capriles.



Willie Colón – Mentira Fresca 


baffi, le banane e l’uccello... 
Sicuro di ottenere un nuovo successo elettorale in Venezuela il chavismo si è riversato per le strade per accompagnare il suo candidato Nicolás Maduro e ha lanciato la moda del baffo, delle banane e degli uccelli.

Nicolás Maduro
Insieme all'immagine del defunto presidente Hugo Chávez, al tricolore nazionale e al colore rosso nei vestiti o nelle bandiere, il governo inaugura simboli con l’aiuto di Maduro, del cui cognome si è avvalso l’ingegno popolare per portare alle sue manifestazioni delle banane (per la varietà “plátano maduro”). Come pure il passerotto che lo stesso candidato ha reso famoso raccontando che Chávez gli era apparso sotto forma di uccello. Così anche il baffo, che fa parte del look di Maduro, é diventato di moda tra i suoi seguaci. E nonostante le beffe sulla reincarnazione di Chávez in un uccello, il candidato del governo ha sfoggiato agli incontri un cappello di paglia coronato da un volatile

Durante la visita a Catia La Mar, nello stato di Vergas, sulla costa, predominavano le banane, che in questa località sono state perfino distribuite dal palco. 

Approfittando, poi, del suo passato da conducente di autobus, Maduro ha deciso di guidarne uno con il quale percorrere il Venezuela per dare di sé l’immagine di uomo comune.



Traduzione: Marcella Bucaria
Autore: jcastillo
Apparso su: Diario Hoy
Lingua orginale: Spagnolo



mercoledì 10 aprile 2013

28 curiosità sui matrimoni nelle diverse culture


Ogni cultura ha delle particolari credenze legate al matrimonio. Alcune persone rispettano ancora le antiche tradizioni poiché fortemente convinte che dalla loro perpetuazione dipenda la riuscita del matrimonio.
Cosa sapete dei matrimoni nelle altre culture? Ecco a voi alcuni consigli per delle nozze dallo stile etnico.

  • Secondo la tradizione indù, il giorno delle nozze la pioggia viene considerata un portafortuna.


  • In India, al termine della cerimonia, il fratello dello sposo lancia dei fiori sugli sposi per proteggerli dal male.
  • I francesi spesso brindano ai novelli sposi usando un bicchiere particolare con due manici.
  • In Germania, la sposa mette pane e sale nelle tasche  in segno di abbondanza, mentre lo sposo i chicchi di frumento, come simbolo di salute e fortuna.
  • Le scarpe sono considerate degli accessori portafortuna per la loro forma di luna, da sempre simbolo di fertilità.
  • In Giappone il colore bianco era usato per le spose ancor prima che la regina Vittoria lo rendesse di moda nel mondo occidentale.
  • Tra le usanze che riguardano la sposa vi è quella di mettere un po’ di zucchero nei guanti: è un modo per omaggiare la sua unione.
  • Gli inglesi credono che trovare un ragno nel vestito della sposa riveli un matrimonio fortunato.
  • Usanza vuole che lo sposo porti la sposa in braccio fino a casa per proteggerla dagli spiriti malvagi che ne sorvegliano l’ingresso.
  • Gli inglesi evitano di sposarsi il sabato. Secondo il folclore non è un giorno propizio per le nozze, anche se, strano a dirsi, sembra essere quello preferito dalle coppie. Sarebbe meglio, piuttosto, il mercoledì.
  • In Egitto, il giorno nozze le donne danno dei pizzicotti alla sposa come portafortuna.



  • Le fedi si mettono nell'anulare poiché in Egitto si credeva che in questo dito scorresse la vena connessa direttamente con il cuore.
  • In Egitto, la prima settimana subito dopo le nozze cucina la famiglia della sposa. Lo scopo è quello di lasciare più tempo alla coppia affinché possa godere appieno della nuova vita insieme.
  • La tradizione della damigella d’onore nasce in epoca romana. Le damigelle, vestendosi esattamente come la sposa, erano considerate dai romani una protezione per la fanciulla. Questo era anche un modo per ingannare gli spiriti malvagi che non l’avrebbero riconosciuta.
  • L’usanza della torta nuziale risale all'antica Roma, quando durante la cerimonia si rompeva un pezzo di pane sulla testa della sposa in segno di fertilità.
  • Giugno è il mese prediletto per convolare a nozze perché legato alla dea romana Giunone, dea del matrimonio.
  • La sposa svedese mette in una scarpa una moneta d’argento ricevuta in dono dal padre e nell'altra una moneta d’oro offerta dalla madre, assicurandosi di non perderle mai.
  • Nel linguaggio dei gioielli gli anelli di fidanzamento di zaffiro indicano la felicità coniugale.
  • Se stai pensando di chiedere un anello di perle, scordatelo! Nel linguaggio dei gioielli la perla è sinonimo di sfortuna poiché la sua forma somiglia ad una lacrima.
  • Un anello con la pietra acquamarina è simbolo di onestà e lealtà e di un matrimonio duraturo e felice.
  • In Danimarca, le spose e gli sposi si scambiano tra loro gli abiti tradizionali per confondere gli spiriti cattivi.
  • Gli addii al celibato derivano da un’usanza dei soldati spartani che abbandonavano la loro vita da scapoli con una grande festa.
  • In Portogallo, prima del XX secolo il vestito della sposa era nero.
  • Il velo da sposa è una tradizione dei greci e dei romani. Questi credevano che il velo proteggesse le donne dagli spiriti maligni.



  • La torta nuziale a piani va collocata a sinistra rispetto a dove gli sposi decidono di baciarsi.
  • L’idea di nodo associata al matrimonio deriva dalla cultura egizia e da quella indù e si riferisce alle mani degli sposi giunte in segno d’unione.
  • Sull’altare la sposa deve trovarsi alla sinistra dell’uomo. E’ una tradizione anglosassone: si credeva che lo sposo avesse bisogno della mano destra per lottare contro i suoi rivali.
  • I primi testimoni erano guerrieri, generalmente amici dello sposo, e dovevano difendere la sposa da possibili sequestri.

Traduzione di Marcella Bucaria


Autore: Aline
Apparso su: Zankyou Magazine
Tradotto da: Spagnolo

sabato 6 aprile 2013

Far risorgere Babilonia


(CNN) – Babilonia era uno degli splendori del mondo antico, le sue mura e i suoi giardini pensili erano annoverati fra le Sette Meraviglie.




Fondata circa 4000 anni fa, la città antica è stata capitale di dieci dinastie mesopotamiche, considerata una delle prime culle della civiltà, nonché il luogo dove sono nate la scrittura e la letteratura.
Tuttavia, in seguito ad anni di saccheggi, negligenza e conflitti, la Babilonia di oggi evoca a malapena quell'illustre passato.1

In anni recenti, le autorità irachene hanno riaperto Babilonia ai turisti, nella speranza che un giorno il sito attragga visitatori da tutto il mondo. Nonostante il notevole valore archeologico del sito e le viste mozzafiato, attualmente attrae solo una manciata di turisti, attratti da un curioso mix di storia antica e recente.

La città: solo 85 km a sud di Baghdad, circa due ore in auto, a seconda dei posti di blocco, porta ancora i segni dei maldestri tentativi di restauro dell'ex dittatore iracheno Saddam Hussein e di una successiva occupazione delle forze statunitensi nel 2003.
“Hanno occupato Babilonia. Non facevano entrare nessuno”, dice Hussein Saheb, un guardiano del sito storico di Babilonia, ricordando il giorno in cui i carrarmati americani comparvero all'orizzonte, prima che i militari si accampassero.


In seguito a degli scavi dell'inizio del XX secolo, gli archeologi europei rivendicarono alcuni elementi fondamentali come i resti della famosa Porta di Ishtar, la porta di mattoni smaltati decorata con immagini di draghi e uri, costruita intorno al 575 a.C. per ordine del re Nabucodonosor II, come ottava porta d'ingresso alla città.2
L'originale adesso si trova al Pergamon Museum di Berlino, come parte di una ricostruzione della porta, mentre a Babilonia i visitatori entrano attraverso una copia. Nonostante ciò ci sono ancora dei resti della passata gloria di Babilonia, con parti delle mura della città ancora intatte.

Scavi successivi e lavori di manutenzione portati avanti sotto il regime di Saddam, hanno grandemente devastato il sito, dicono gli archeologi.
L'archeologo iracheno Hai Katth Moussa afferma che nel corso di un progetto di ricostruzione massiva dei primi anni Ottanta, Saddam iniziò a costruire una copia del palazzo di Nabucodonosor II sulle rovine dell'antico palazzo.
Come Nabucodonosor, fece scrivere il proprio nome su gran parte dei mattoni, con iscrizioni del tipo: “Questo fu costruito da Saddam, figlio di Nabucodonosor, per glorificare l'Iraq”.

Dopo la Guerra del Golfo, Saddam iniziò a costruirsi un palazzo moderno, sopra le rovine, sullo stile di una ziggurat sumerica.
Quando nel 2003 arrivarono le forze statunitensi, occuparono il palazzo, adiacente a quello di Nabucodonosor e rivolto verso il fiume Eufrate, lasciando segni del loro passaggio. Oggi, a Babilonia rimane un canestro da basket, mentre il filo spinato lasciato dai militari viene usato per evitare che i visitatori si arrampichino sulla statua di un leone di 2500 anni, un antico simbolo della città.3

Anche nel nuovo Iraq, Babilonia deve affrontare delle minacce in atto. Solo il 2% della città antica è stato scavato, ma i tesori storici sepolti sono minacciati dallo sviluppo edilizio abusivo.
Hussein Al-Ammari, guida turistica, dice che attraverso la parte orientale della città antica scorre un oleodotto. “Attraversa le mura esterne di Babilonia”, afferma.
Eppure, nonostante le carenze nella sua salvaguardia, Babilonia è un'attrattiva per piccoli numeri di visitatori iracheni, anche solo per entrare nei palazzi rivestiti di marmo di Saddam che, a 10 anni dalla caduta del dittatore, sono ancora una novità.4
Zained Mohammed, di Kerbela, in visita con la sua famiglia per la prima volta, ha detto ai microfoni della CNN: “Volevamo soltanto cambiare aria, far vedere ai bambini qualcosa di diverso”.
Babilonia lo è certamente.



AutoreArwa Damon
Apparso su: CNN
Tradotto da: Inglese


Note:


1 Founded about 4,000 years ago, the ancient city was the capital of 10 dynasties in Mesopotamia, considered one of the earliest cradles of civilization and the birthplace of writing and literature.
But following years of plunder, neglect and conflict, the Babylon of today scarcely conjures that illustrious history.

2 "They occupied Babylon. They wouldn't let anyone in," says Hussein Saheb, a guard at the historical sites at Babylon, recalling the day U.S. tanks rolled into view, before forces set up camp.
Following excavations in the early 20th century, European archaeologists claimed key features such as the remains of the famous Ishtar Gate -- the glazed brick gate decorated with images of dragons and aurochs, built in about 575 BC by order of King Nebuchadnezzar II as the eighth gate to the inner city.

3 When U.S. forces arrived in 2003, they occupied the palace, which lies adjacent to Nebuchadnezzar's palace and overlooks the Euphrates River, and left their own mark. Today, a basketball hoop remains in Babylon, while concertina wire left behind by the military is used to prevent visitors from climbing over a 2,500-year-old lion statue -- an ancient symbol of the city.

4 Yet despite the shortcomings in its preservation, Babylon holds a draw for small numbers of Iraqi visitors -- even if only to enter Saddam's marble-lined palaces, still a novelty 10 years after the dictator's downfall.