Perché nessuno ha mai eguagliato la perfezione degli strumenti del maestro italiano? Clemency Burton-Hill indaga e sperimenta uno dei mitici violini
Provate
ad immaginare se i fratelli Wright avessero azzeccato al primo
tentativo, se gli aerei che oggi ci portano in giro per il mondo
fossero identici a quelli che volavano nel 1903. O se le automobili
che guidiamo somigliassero ancora alla tre-ruote di Karl Benz del
1886, se gli mp3 nelle nostre tasche fossero solo delle versioni
superficialmente aggiornate del fonografo di Thomas Edison del 1877 e
se le medicine di oggi fossero rimaste invariate rispetto a quelle
del 1713? Immaginate di aver inventato qualcosa secoli fa e che
nessuno sia mai stato in grado di migliorarne la forma e la
funzionalità.
Riflettevo
su questo di recente mentre visitavo la mostra Stradivari, una pietra
miliare dell'Ashmolean Mueum. L'istituzione di Oxford, uno
straordinario contenitore di curiosità culturali, ha messo insieme
alcuni dei più sofisticati strumenti mai prodotti dal mastro
artigiano Antonio Stradivari, il cui nome è sinonimo di violino così
come il nome di Hoover è sinonimo di aspirapolvere. È la prima
volta che viene allestita un'esposizione del genere e, come c'era da
aspettarsi, ha rappresentato un'irresistibile attrativa per gli
appassionati del violino e i fanatici della musica di tutto il mondo,
me compresa.
Ma
anche se non avete mai preso in mano un violino e non avete neppure
un vago interesse nella storia degli istrumenti musicali, quella di
Stradivari è una
storia avvincente.
Come ha fatto quest'uomo, sbucato fuori dal nulla, a capire come
creare a partire da un muto pezzo di legno senza vita la più
notevole macchina sonora che abbiamo mai conosciuto? E come mai, a
più di 350 anni dalla sua nascita, non siamo ancora riusciti ad
afferrare come sia riuscito a fare quello che ha fatto? E dato che la
storia dello sviluppo umano è in genere una storia di progresso e
miglioramento, perché mai non abbiamo trovato alcun modo per fare
meglio?
Stradivari nacque nel 1644 e visse fino alla veneranda età di 92 anni, durante i quali fece probabilmente più di mille violini, dei quali circa la metà sopravvive fino ad oggi. Sappiamo relativamente poco dei primi anni della sua vita, al di là del fatto che era nato a Cremona, una piccola città del nord che divenne la capitale indiscussa della manifattura degli strumenti a corda nel XVII secolo e non ha mai perso questo titolo. Stradivari irruppe sulla scena con il suo primo violino, noto come il “Serdet” e datato 1666, quando aveva 22 anni. Ho avuto lo straordinario privilegio di poter suonare questo violino all'Ashmolean Museum: un'esperienza travolgente se considerate che lo strumento è stato creato lo stesso anno del Grande Incendio di Londra. E non è un primo abbozzo né un prototipo. L'aspetto, la percezione tattile e il suono sono quelli del violino ultimato: perfetto come lo è sempre stato.
C'è
sempre la tentazione di mettere alla prova i violini Stradivari con
una sorta di “Test della Pepsi”. Ascoltando ad occhi chiusi, si
potrebbe davvero distinguere uno stradivari da un altro strumento di
buona qualità? O addirittura da uno di bassa qualità? (Di recente
il Daily Telegraph ha lanciato un esperimento in cui lo stesso
violinista suonava uno Stradivari e un violino da £39.99 in vendita
nei supermercati Tesco. Inutile dire quale ha vinto).
Il Maestro all'opera
Ci si è a lungo scervellati sul segreto di Stradivari. Non solo le ultime generazioni di artigiani dello strumento che hanno instancabilmente copiato le sue opere sperando di raggiungere simili livelli di perfezione del tono e della risonanza. Né soltanto i moderni scienziati che usano di tutto, dagli spettroscopi ad infrarossi e a risonanza magnetico-nucleare (per analizzare le proprietà chimiche delle componenti di una cassa di risonanza Stradivari) agli acceleratori di particelle simili al grande collisore di adroni (LHC) per esaminare i segreto delle particelle atomiche di uno Stradivari. Ma anche i suoi invidiosi contemporanei che già a quel tempo si chiedevano come avesse fatto. Come la moderna Los Angeles per l'industria cinematografica, la Cremona del XVII secolo era una città con un unico commercio. E Stradivari era il re: benestante, ammirato e molto richiesto. Sembra che l'espressione “ricco come Stradivari” fosse molto comune nelle strade cremonesi.
Ashmolean Museum |
Cosa
lo distingueva dagli altri? Dopo tutto usava gli stessi materiali che
usavano tutti: lo stesso legno di acero e abete rosso dal vicino Sud
Tirolo, la stessa acqua e gli stessi utensili (che a loro volta sono
poco diversi da quelli usati oggi dai mastri liutai). Era qualcosa
nel rame, ferro e sali di cromo che potrebbe aver usato
involontariamente per preservare il suo legno? Era cenere di una
ignota eruzione vulcanica inserita all'interno? C'era davvero del
sangue di drago nella sua vernice speciale? O erano invece, al
contrario, le sottili imperfezioni nel suo metodo che creavano una
tale incomprensibile perfezione? Ci si è tormentati per secoli sulle
vari possibilità che si celano dietro queste domande e nessuno saprà
mai la risposta.
Il
novantenne Stradivari si è portato il suo segreto nella tomba. Al
momento della sua morte aveva nel suo laboratorio uno strumento che
non aveva mai venduto. Il più raro tra i violini, anche questo in
mostra all'Ashmolean, è noto come il “Messia” e il suo valore è
incommensurabile. Il valore medio, se esistesse, sarebbe
pluri-milionario. Il Messia è lo strumento musicale più mitico del
mondo. Dopo Stradivari, anche la maggior parte dei suoi proprietari
si è rifiutata di separarsene fino alla morte. E ancora più curioso
è il fatto che, nel corso degli ultimi due secoli, è stato
raramente suonato, il che vuol dire che è straordinariamente in
condizioni eccellenti, con piccoli segni d'uso che inevitabilmente si
generano nel tempo su un delicato strumento ligneo.
Quando, nel secolo scorso, l'Ashmolean Museum ottenne in eredità il “Messia”, arrivò con l'ammonimento che non avrebbe mai e poi mai dovuto venire suonato di nuovo: avrebbe dovuto essere appeso, maestoso ma silenzioso, nella sua teca di vetro per l'eternità. La ragione è che, con circa cinquecento violini Stradivari ancora in circolazione, ne abbiamo tantissimi da ascoltare, quindi solo uno dovrebbe restare incontaminato perché le future generazioni possano apprendere da esso. La mia testa mi dice che è una cosa ragionevole. Il mio cuore si chiede “come possiamo mettere in gabbia l'ultimo uccello?”. Cosa non darei per la possibilità di sentirlo suonare una sola volta?
Quando, nel secolo scorso, l'Ashmolean Museum ottenne in eredità il “Messia”, arrivò con l'ammonimento che non avrebbe mai e poi mai dovuto venire suonato di nuovo: avrebbe dovuto essere appeso, maestoso ma silenzioso, nella sua teca di vetro per l'eternità. La ragione è che, con circa cinquecento violini Stradivari ancora in circolazione, ne abbiamo tantissimi da ascoltare, quindi solo uno dovrebbe restare incontaminato perché le future generazioni possano apprendere da esso. La mia testa mi dice che è una cosa ragionevole. Il mio cuore si chiede “come possiamo mettere in gabbia l'ultimo uccello?”. Cosa non darei per la possibilità di sentirlo suonare una sola volta?
Il "Messia" |
Autore: Clemency Burton-Hill
Fonte: BBC NEWS
Lingua: Inglese
Testo originale: http://www.bbc.com/culture/story/20130725-can-anyone-outplay-stradivarius